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190 | la città dell'oro |
tissima, la fece fiutare replicatamente a don Raffaele e all’indiano.
Dopo alcuni istanti, entrambi riaprivano gli occhi.
— Dove sono? — chiese il piantatore con voce debole.
— Fra i vostri compagni — rispose il dottore.
— Ma... cos’è accaduto?... Mi sento debole... assai debole.
— I vampiri vi hanno dissanguato.
— Ah! I malefici volatili — mormorò don Raffaele, rabbrividendo. — Ed Alonzo?
— Eccomi, cugino.
— Siete tornati... tardi.
— Ci siamo smarriti nella foresta, Raffaele.
— Quante... inquietudini. E... gl’indiani?...
— Non li abbiamo veduti — disse Velasco. — E voi?
— Le tracce... le tracce...
Non potè dire di più. Ricadde pesantemente a terra e si assopì. L’indiano già russava sonoramente.
— Lasciamoli riposare tranquilli — disse il dottore. — Un riposo prolungato farà bene a loro.
— Ma non v’è proprio alcun pericolo?
— No, Alonzo, te l’ho già detto.
— Ma cosa sono questi vampiri?