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166 la città dell'oro

— Un orso!... E voi ridete!... — esclamò Alonzo, armando il fucile.

— Non c’è da allarmarsi tanto, giovanotto mio. Non credere che i nostri orsi siano così formidabili come quelli grigi della Sierra Nevada o della Sierra Verde. No, quelli dell’America del Sud non sono così feroci, anzi sono tanto poco offensivi che non sarebbero capaci di darti un morso.

— Forse che non hanno denti?

— Peggio che peggio; non hanno bocca o, per meglio dire, se l’hanno, non possono aprirla.

— È strano!... Ma che paese è mai questo?...

— Molto diverso dal tuo. Andiamo a vedere cosa fa il nostro orso. Lascia andare il fucile; per ucciderlo basterà adoperare il calcio.

Girarono attorno all’albero gigante e si trovarono dinanzi ad un animale coperto d’un lungo pelo bruno, diviso obliquamente da strisce di pelo bianco e nero, e che stava sgretolando, con delle lunghe unghie che sembravano robustissime, uno di quei coni.

Vedendo i due cacciatori si rizzò di colpo sulle zampe posteriori, riparandosi dietro ad una lunga coda che somigliava ad una gigantesca piuma di struzzo e che teneva tesa innanzi a sè verticalmente, poi alzò le zampe anteriori mostrando gli acuti artigli.