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8 | la città dell'oro |
giato alla sua formidabile mazza, immobile come una statua di porfido.
Era un indiano di alta statura, colle membra assai sviluppate, il petto ampio, coi lineamenti duri, angolosi e gli sguardi cupi che avevano un non so che di triste ed i capelli lunghi e neri, adorni d’una penna d’aracari, cioè un piccolo tucano molto comune sull’Orenoco. Aveva il petto adorno di varie linee dipinte in rosso, il collo d’una fila di perle azzurre, alle quali era sospesa una placca d’oro in forma di mezzaluna e per unico vestito portava un sottanino di cotone finissimo, intessuto con pagliuzze d’argento, il guayaro come lo chiamano gl’indiani.
Vedendo i due cacciatori avvicinarglisi, l’indiano non si era mosso, però i suoi cupi sguardi si erano accesi d’una viva fiamma.
— Chi sei? — chiese Raffaele.
— Yaruri, — rispose l’indiano che doveva comprendere perfettamente lo spagnolo.
— Sei schiavo in qualche piantagione?
— Sono uomo libero, — disse il Pellerossa con fierezza.
— Da dove vieni?
— Molto da lontano; dai paesi ove il sole tramonta.