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136 | la città dell'oro |
Avevano già percorso duecento passi, quando Yaruri s’arrestò bruscamente. Un uccello si era alzato rumorosamente, forse un grosso pappagallo od una arà emettendo un grido di spavento.
Si era levato a trenta o quaranta passi di distanza verso la loro destra.
Ad un tratto si udì un sibilo appena percettibile ed un cannello adorno all’estremità d’un piccolo tappo di midolla di legno cannone, andò a piantarsi nel tronco d’una palma, a due soli pollici dal capo di Yaruri.
— Una freccia! — aveva esclamato il dottore. — Fuoco, Alonzo.
Fecero fuoco a casaccio verso la direzione ove era venuto quel messaggero di morte. Appena cessate le due detonazioni, udirono uno spezzarsi di rami, poi più nulla.
L’indiano si era scagliato in mezzo alla foresta brandendo la sua cerbottana, ma si era subito trovato dinanzi ad una muraglia di verzura così fitta e così irta di spine, che aveva dovuto arrestarsi e tornare indietro.
Staccò la freccia che era formata d’un leggero cannello terminante in un’acuta spina e se la mise sulle labbra.
— È intinta nel curare, — diss’egli, sputando.