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110 | la città dell'oro |
ma nessun Ottomaco aveva fatto caso se gli indiani che li montavano erano armati o inermi. Prevedendo che non avrebbero ricavato altre notizie, lasciarono quei selvaggi occupatissimi ad arrostire la preda gigante, e sciolte le vele ripresero la navigazione per raggiungere la foce del Maniapure.
Le sponde del fiume erano ridiventate deserte non essendovi, in quei dintorni, a quanto pareva, altre tribù di Ottomachi, ed avevano inoltre subìto dei cambiamenti. Frequenti fiumi rompevano le foreste, riuniti fra di loro da canali interni chiamati comunemente neirim-igarape, ossia sentieri dei canotti, secondo l’espressione indiana. Si vedevano pure degli ampi stagni che comunicavano col fiume, delle agoas redonde.
Sopra quegli stagni ripieni di piante acquatiche colle foglie immense, cicalavano o strillavano bande di carpideira o choradeira, vale a dire uccelli piagnoni perchè hanno un canto così lamentevole che si direbbe che piangano. Sulle sponde invece si vedevano correre e saltellare numerosi capibara, grossi roditori grossi come un cane, col mantello nero, terribili devastatori delle piantagioni, ma poco pregiati come selvaggina, avendo la carne assai calorosa; apparivano anche, ma più rari, dei gamba, marzupiali somiglianti ai conigli, che hanno una tasca sotto all’addome ove ripongono