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La caccia al “Jacarè„ 107

si era stretta intorno, si sentì strappare dall’acqua e sollevare in alto.

Quale spettacolo offrì allora il mostro sospeso all’albero!... Era lungo cinque metri, aveva le mascelle armate di una doppia fila di denti formidabili, bianchi come l’avorio e triangolari, e una coda enorme, coperta di grosse scaglie rugose. Si dibatteva furiosamente facendo scricchiolare l’albero, sbarrava gli occhi sanguigni, ma che avevano dei lampi giallastri, demoliva i pali colla possente coda ed emetteva certi brontolii paragonabili al tuono udito in lontananza.

Gl’indiani si erano slanciati nel recinto mandando urla di trionfo ed agitando furiosamente le loro mazze, le scuri e gli arpioni, ma non osavano avvicinarsi al mostro che si dibatteva con crescente furore, minacciando di accopparli a colpi di coda.

— A noi, — disse don Raffaele, puntando il fucile.

Attesero che il caimano mostrasse loro il ventre, poi fecero fuoco simultaneamente. Il mostro fece un ultimo e più tremendo balzo, agitò furiosamente la coda per alcuni istanti, poi si distese, penzolando dall’albero come un appiccato.

Gli Ottomachi recisero la corda facendolo cadere sul bassofondo, lo trascinarono sulla sponda e lo sventrarono a colpi di scure, frugandogli nelle viscere.