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92 | la città dell'oro |
Indiani ottomachi, per quando manca la selvaggina. Le mangiano, mio caro, e con quale piacere!
— Ma non sono di terra?
— Di creta ma grassa, un po’ oleosa e mescolata con un po’ d’ossido di ferro. Un mio amico che l’ha analizzata l’ha trovata composta di silice e d’allume con un terzo di calce.
— E voi dite che gli Ottomachi mangiano questa creta?
— È verissimo, — disse don Raffaele.
— Forse come medicina?
— No, vi ho detto che la mangiano quando sono a corto di viveri, — disse il dottore. — All’epoca dello straripamento dell’Orenoco, tutta la selvaggina abbandona queste sponde per ripararsi sui monti o sulle alture, sicchè per un buon mese gl’indiani, che non hanno l’abitudine di conservare grosse provviste, si trovano ben presto in lotta colla fame. Gli Ottomachi allora ricorrono alle pallottole di creta che hanno raccolte sulle sponde del fiume e che hanno fatto seccare. Dicono che bastano per ingannare il ventre, ma aggiungerò che sono tanto ghiotti di queste poya, come le chiamano loro, che anche in mezzo all’abbondanza non possono fare a meno di rosicchiarne qualcuna dopo il pranzo.