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92 Capitolo Ottavo.

la riva. Il povero rettile, imbarazzato dalle canne che gli pendevano dai fianchi, pareva smarrito e tentava ad ogni istante di girare su se stesso, ma una poderosa randellata lo costringeva a tirare innanzi.

Appena vide l’acqua vi si precipitò con impeto, sperando di sbarazzarsi delle canne e di scomparire sotto. Il mozzo lesto come un gatto si era già appollaiato sul largo guscio, incrociando le gambe come i turchi.

Sentendo quel peso gravitargli addosso e sentendosi trattenere a galla non ostante i suoi sforzi per lasciarsi colare a picco, il rettile parve che impazzisse.

Girava su se stesso, battendo furiosamente le zampacce, allungava più che poteva il collo e dimenava la testa e la coda in tutti i sensi.

Vani sforzi. L’intestino, ben gonfio e le canne la mantenevano ostinatamente alla superficie.

— Ah! La bella trovata! — gridava il mozzo, lavorando vigorosamente di randello. — Signor Alvaro! Che superba zattera! Filerà come se avessi il vento in poppa! —

Il portoghese rideva a crepapelle vedendo gli sforzi disperati che faceva il rettile per sbarazzarsi del suo strano cavaliere.

Porse al mozzo il moschetto e la scure e gli diede il segnale della partenza con un «buon viaggio, amico.»

— Tornerò più presto che potrò, signore, — rispose il mozzo. — Orsù, cammina bestiolina! —

La testuggine ormai convinta della inutilità dei suoi sforzi, si era scostata dall’isolotto avanzando velocemente in mezzo alla palude.

Di quando in quando tentava di gettarsi in mezzo alle larghe foglie delle victorie o fra i gruppi di canne, ma Garcia con due o tre randellate, applicate senza misericordia, la costringeva a mantenere una linea pressochè diretta.

La povera bestia, pazza di paura, nuotava rapidissima. Una buona scialuppa montata da due rematori non sarebbe andata più lestamente.

— Va a meraviglia, — disse Garcia, dopo d’aver dato uno sguardo alla riva, più prossima che come si disse, distava dall’isolotto almeno tre miglia. — Se continua così fra una mezz’ora e anche meno, approderò.

Ritirò le gambe, accomodandosi meglio che potè sul largo guscio, si mise l’archibugio armato sulle ginocchia, la scure dinanzi e guardò verso l’isolotto.