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88 | Capitolo Ottavo. |
— Ma quale? Invano ho tormentato il mio cervello.
— Signore, credete che vi siano degl’indiani intorno a questa palude?
— Può darsi.
— Se noi facessimo dei segnali accendendo le canne ed i cespugli che crescono qui e sparando di quando in quando dei colpi di fucile?
— Per farli accorrere?
— Sì, signor Alvaro.
— E farci prendere per poi finire sulla graticola? No, Garcia, preferisco morire di fame e di sete piuttosto che il mio corpo serva di cibo a quelle canaglie.
— Signor Alvaro... —
Il portoghese aveva fatto un salto senza ascoltare la fine della frase e si era gettato dietro una macchia di cespugli, guardando attentamente verso la riva.
— Un altro caimano, signore? — gli chiese Garcia che lo aveva prontamente raggiunto.
— Pare che si tratti di qualche altro animale, — rispose il portoghese. — Ho veduto le canne aprirsi violentemente.
— Uno di quei grossi serpenti?
— Taci?
Una forma ancora indecisa, assai larga e molto bassa, si sforzava di aprirsi il passo fra i canneti rompendoli a destra ed a sinistra.
— Che animale sarà? — si chiese il portoghese. — Giurerei che si tratta d’una tartaruga. —
Era infatti una testuggine della specie delle mydas che sono le più gigantesche che abitino le paludi ed i fiumi del Brasile. Non sono pregiate come la careto, dalle quali si estrae la tartaruga che si mette in commercio; sono invece ricercate per la mole dei loro gusci e per l’abbondanza della loro carne.
Ordinariamente i loro gusci, che sono d’un colore verdastro marmorizzato a squame esagonali, sono lunghi più di due metri e larghi cinquanta centimetri.
Quella però che era approdata sull’isolotto era una delle più gigantesche della specie, lunga quasi otto piedi e larga almeno la metà, una zattera in miniatura.
— Garcia, non muoverti, — disse Alvaro, rapidamente. — Vi è là da cenare e da pranzare abbondantemente per una settimana.
La testuggine, apertosi il passo fra le canne, si era fermata