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68 | Capitolo Sesto. |
— E su uno di quegli isolotti per non farci sorprendere dagl’indiani.
— Al canotto, — disse Alvaro, a cui sorrideva l’idea di attraversare quella palude per allontanarsi maggiormente dalle sponde meridionali della baia che ormai sapeva frequentate dai mangiatori di carne umana.
Attraversarono cautamente la distanza che li separava da quell’ammasso di piante palustri, guardandosi intorno per paura che vi fossero dei selvaggi nascosti fra le macchie, e giunsero presso il canotto il quale si trovava arenato all’estremità di un banco di fango.
Era una piccola imbarcazione scavata nel tronco d’un albero spugnoso, assai vecchia e tarlata, e pressochè inservibile. Infatti vi era un buon piede d’acqua nel fondo.
— Credi che potremo ripararla? — chiese Alvaro al mozzo.
— È in cattivo stato, signore; ci occorrerebbe del canape e della resina. Mi pare che il fondo sia come un crivello.
— Nella foresta troveremo l’uno e l’altra, — disse Alvaro. — Ho veduto delle piante che avevano attorno ai tronchi dei filamenti che potranno bene o male surrogare il canape.
— Ci vorrà però del tempo prima di renderla navigabile.
— La pazienza non ci fa difetto.
— E la nostra famosa colazione, signore? — chiese il mozzo ridendo.
— Ci accontenteremo anche oggi di frutta o farò una nuova scarica contro qualche stormo di pappagalli. Ritorniamo nella foresta, Garcia. —
Stavano per lasciare la riva quando a breve distanza udirono risuonare per l’aria un lamento che si ripetè parecchie volte di seguito:
— A... ih!... A... ih!...
— Chi è che si lagna? — chiese Alvaro, guardandosi intorno.
— Non vedo nessuno signore, — rispose il mozzo.
— Che sia qualche scimmia che si diverte a spaventarci? Non mi stupirei. Hanno delle grida così strane i quadrumani che abitano queste foreste! —
Un altro grido più lamentevole, più lugubre si udì e questa volta non pareva che risuonasse verso il suolo bensì in aria.
Alvaro ed il mozzo alzarono gli occhi e scorsero fra i rami d’un nespolo che cresceva isolato, e già privo delle sue frutta