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60 | Capitolo Quinto. |
gusto delizioso che rammenta quello del carciofo e anche dello sparago e che essi trituravano e torrefacevano mescolandolo col latte estratto dal pao de raca.
Oggi invece forma la ricchezza delle tribù che posseggono i terreni su cui quelle piante preziose crescono, estraendosi molte cose di somma utilità da quei superbi vegetali. Si può anzi dire che tronco, foglie, radici, tutto serve ed è utile.
Nella sola provincia di Ceara, i fazenderi che hanno piantagioni di palme andicole, ricavano ogni anno non meno di novantamila arrobas di cera, ossia un milione e trecentoventidue chilogrammi, raccogliendola parte sulle foglie e parte nel tronco.
E non è il solo prodotto, come abbiamo detto. Si impiegano le foglie, che si prestano per un infinito genere di lavori, per fabbricare panieri, ceste, stuoie solidissime, cappelli, cordami e perfino delle stoffe grossolane e bruciandole ottengono anche un sale che è adoperato nella fabbricazione dei saponi.
E perfino dalle radici si ottiene un medicinale impiegato con buon successo nella guarigione delle malattie cutanee.
Alvaro ed il mozzo che non sospettavano nemmeno lontanamente la preziosità di quelle piante, solo occupati a cercarsi la colazione che sembrava molto lontana ancora, procedendo rapidamente giunsero ben presto su un terreno assai umido che cedeva facilmente sotto i loro piedi.
Canne smisurate cominciavano a prendere il posto delle palme, a ciuffi enormi, mescolate ad ammassi di cipò chumbo, specie di convolvulacee di color giallo e di cumarù dai fiori porporini e nelle cui bacche si trova chiusa la così detta fava tonka, usata dagl’indiani per profumare il tabacco.
Un numero infinito di uccelli garriva fra quei vegetali; ed in mezzo ai ceppi delle convolvulacee svolazzavano miriadi di quei vaghi uccellini chiamati beja flores, i famosi uccelli mosca o colibrì, colle penne superbe che riflettevano tutti i colori dell’arcobaleno: verdi, turchine, porporine e gialle a riflessi d’oro.
— Ci sarebbe da fare una frittata deliziosa, — disse il mozzo che osservava con vivo interesse quei minuscoli volatili che scomparivano interamente entro calici purpurei delle cumarù. — Come sono belli, signor Alvaro! Sembrano incrostati di perle preziose.
— Ammirabili davvero ma non valgono un buon pappagallo, — rispose il signor di Correa.
— Non ne mancano qui. Guardate su quell’albero quanti ve ne sono.