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58 | Capitolo Quinto. |
— Nemmeno uno, Garcia. Finora nessuno ha pensato a occupare il Brasile, quantunque appartenga a noi dopo che il nostro compatriota Cabral ne ha preso, pel primo, il possesso.
— Ho udito però raccontare che gli spagnoli si sono impadroniti di territori immensi.
— È vero, Garcia, però sono molto lontani da noi i posti spagnoli e dovremmo attraversare quasi tutta l’America meridionale prima di giungere al Perù.
— Un viaggio immenso?
— Di migliaia e migliaia di miglia attraverso foreste vergini abitate da tribù di antropofaghi e da belve d’ogni specie. Non mi sentirei l’animo abbastanza forte per tentare un simile viaggio. Ho udito a parlare invece di alcuni stabilimenti francesi che devono trovarsi al sud del Brasile, presso la foce d’un fiume immenso che si chiama la Plata. Si potrebbe tentare di raggiungerli.
— Saranno pure lontani.
— So che quel fiume si trova al sud, non saprei dirti a quale distanza da noi, — disse Alvaro.
— Ah! Signore! Credo che noi non usciremo più mai da queste selve e che non vedremo più mai nè il nostro Tago nè il viso d’un uomo bianco, — disse il mozzo sospirando.
— Non dispero. So che delle navi armate da negozianti dell’Havre, sono più volte giunte sulle spiagge del Brasile a caricare un certo legno chiamato verzino da cui si trae una tintura bellissima, rossa come la lacca. Chi sa che non possiamo vederne qualcuna a giungere nella baia.
— Allora, signore, non allontaniamoci da queste coste.
— Anzi non le perderemo di vista e faremo delle frequenti escursioni al sud ed al nord di quel magnifico porto. Ecco che i batraci cominciano a mostrarsi stanchi. Approfittiamo per gustare un po’ di riposo.
— E se qualche fiera approfittasse del nostro sonno per assalirci?
— Finora io non ho veduto altro che rane ed uccelli. E poi forse i pochi naviganti che sono approdati su queste coste, hanno esagerata la ferocia delle belve americane.
Teniamo il fucile fra le ginocchia e gli spadoni a fianco e dormiamo. —