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52 Capitolo Quinto.

— Sarà un po’ difficile a cacciarsi lì dentro, — disse Alvaro. — Non ho mai veduto una simile boscaglia.

— Eppure siamo ancora troppo vicini alla costa per fermarci qui, — disse il mozzo. — Facciamo come le scimmie, signore, se non vi spiace.

Così almeno non lasceremo tracce visibili se gl’indiani vorranno inseguirci.

— Il tuo consiglio è buono, ragazzo. Imitiamo dunque i quadrumani. —

Vedendo che a terra non potevano sperare d’avanzarsi, s’aggrapparono ai festoni delle liane e cominciarono bravamente la loro marcia aerea quantunque non poco imbarazzati dalle munizioni e dalle armi.

Passando fra un ramo e l’altro e scivolando fra le innumerevoli maglie delle liane, avevano guadagnato un centinaio di metri, quando un improvviso baccano li arrestò.

Delle urla orribili e acutissime si erano improvvisamente alzate in mezzo alla foresta, rompendo bruscamente il silenzio che vi regnava poco prima.

Pareva che si scannassero delle persone o che si sottoponessero a delle torture atroci, giacchè quegli esseri mandavano tali lamenti da far rabbrividire.

— Signore! — esclamò il mozzo che si era fermato a cavalcioni d’un ramo. — Si massacra qualcuno!

— Qualcuno! Mi pare che si sgozzino o che si martirizzino parecchie persone.

— Che vi sia qualche tribù di indiani in questa foresta?

— È quello che sospetto, Garcia.

— Occupati forse a torturare dei prigionieri prima di metterli sulla graticola?

— Ma... ora cantano quei prigionieri! — esclamò Alvaro che ascoltava attentamente.

Le urla lamentevoli erano improvvisamente cessate e si udiva invece un salmodiare strano come se in quella foresta si fossero radunati un paio di dozzine di frati.

Alvaro guardò il mozzo.

— Cantano o m’inganno io?

— Si direbbe, signore, che gl’indiani stanno pregando.

— E questo rumore, che cos’è? —

Anche quei borbottamenti erano cessati e si udivano dei colpi sonori come se una turba di spaccalegna fosse occupata a spezzare