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48 | Capitolo Quarto. |
Gli Inchi, in paragone di questi selvaggi, erano dei conigli se non peggio. Ma che cosa fanno ora i due pescatori?
— Non so, guardano le sabbie, signore, — rispose il mozzo.
I due indiani infatti osservavano l’arena sottilissima che copriva la spiaggia facendo di quando in quando dei gesti che dinotavano un profondo stupore.
— Sai che cosa guardano, Garcia? — chiese Alvaro con accento inquieto.
— No, signore.
— Le nostre orme, ne sono certo.
— Allora verranno qui.
— Sì, se le seguiranno. Devono essere tuttavia ben imbarazzati non avendo mai veduto delle tracce lasciate impresse da uno stivale. Le crederanno di qualche animale straordinario. Eh! Guardano dalla nostra parte e preparano gli archi.
— Signore, fuggiamo, — disse il mozzo.
— Possiamo abbatterli con una scarica.
— E le detonazioni? Potrebbero far accorrere altri selvaggi. È impossibile che quegli uomini siano soli.
— Battiamocela, — concluse Alvaro.
I cespugli di passiflora entro cui si erano nascosti, permettevano di sgattaiolare senza farsi scorgere.
Si caricarono dei due barilotti, assicurandoseli sulle spalle con delle sagole e smuovendo con precauzione le fronde si cacciarono nel folto della foresta.
Avevano percorso una ventina di passi, quando udirono dietro di loro dei rami a spezzarsi, poi un sibilo leggero e videro una freccia lunghissima piantarsi nel tronco d’un albero, all’altezza d’un uomo.
Alvaro si era subito voltato col fucile pronto e già imbracciato, deciso a vendere ben cara la vita ed a far fuoco, checchè dovesse succedere.
I due indiani erano comparsi improvvisamente fra le passiflore che i due naufraghi avevano appena lasciate, coi loro immensi archi tesi e le frecce incoccate.
Scorgendo quei due bianchi, che certo mai ne avevano veduti di simili fino allora, un grido di stupore era sfuggito dalle loro labbra.
Certo si domandavano se quei due esseri appartenevano alla razza umana o se erano bestie d’una specie sconosciuta.