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40 Capitolo Quarto.

Dinanzi agli sguardi meravigliati di Correa e del mozzo si alzavano a perdita d’occhio piante superbe e svariate, strette da liane che ricadevano in enormi festoni formando in certi luoghi delle reti così fitte da rendere impossibile il passaggio non solo agli uomini ma ben anco agli animali.

Era un caos indescrivibile di mirti dalla scorza lucentissima; di cocchi più alti e più splendidi di quelli delle Indie orientali; di pekie che si direbbero produrre delle palle di cannone anzichè delle frutta e che mostravano i loro enormi calici ed i loro larghi petali dalle tinte svariate; di acacie, di cedri e di palmizi d’ogni specie.

Splendidi volatili, dalle penne variopinte, cicalavano in mezzo alle fronde, senza manifestare alcun timore per la vicinanza di quelle due persone.

Erano dei superbi canindè, somiglianti ai cacatoa australiani e grossi come pappagalli, colle ali d’un turchino brillante e le penne del petto gialle; degli uruponga candidissimi, il cui canto fortissimo odesi, fra il maestoso silenzio delle foreste vergini, a ben tre miglia di distanza, all’alba, al mezzodì ed al tramonto e che squilla come una campana; delle arà tutte rosse che lanciavano, con una insistenza noiosa, il loro eterno arà, arà; poi degli aracari, specie di tucani non più grossi d’un merlo e col becco cartilaginoso grosso quanto l’intero corpo e che stridevano come ruote male unte.

— Che cosa ne dici di tuttociò, Garcia? — chiese Alvaro che guardava con stupore tutti quei volatili che scherzavano fra i raggi del sole, facendo brillare vivamente le tinte svariate delle loro penne.

— Che noi dobbiamo essere sbarcati sulle rive del paradiso terrestre, — rispose il mozzo.

— Bel paradiso dove gli abitanti a due gambe sono più feroci dei leoni e delle tigri che popolano le selve ed i deserti dell’Asia e dell’Africa.

— Non potete dire però che questa foresta non sia superba, signor Alvaro.

— Anzi splendida; quello che non trovo però è la colazione.

— Vi sono centinaia di uccelli.

— Che bramerei anch’io mettere sui carboni se la paura di attirare l’attenzione dei selvaggi non mi trattenesse.

— Ah! Signor Alvaro!

— Che cosa hai scoperto?