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L’assalto dei Tupinambi. 323

Il rettile aveva aperte le sue formidabili mascelle, irte di denti triangolari e acutissimi, e muoveva verso la preda colla speranza di tagliarla in due.

Rospo Enfiato non si era mosso. Agitava solamente le gambe per mantenersi a galla e conservare la sua posizione orizzontale.

Con un ultimo slancio il rettile gli fu addosso. Pronto come un lampo, l’indiano cacciò audacemente la mano armata del pugnale fra le mascelle, in modo che le due punte si appoggiassero contemporaneamente sulla lingua e sul palato.

Il mostro, credendo di stritolare il braccio, le aveva chiuse precipitosamente.

Ad un tratto fece un balzo indietro mandando un soffio poderoso accompagnato da un sordo muggito e si mise a dibattersi con furore spaventevole.

Le due punte del pâo de fero gli si erano conficcate profondamente nelle mascelle, senza poter più nè riaprirle, nè rinchiuderle. La sua morte non era ormai che questione di minuti. L’asfissia non doveva tardare a manifestarsi in causa dell’acqua che gli entrava già in gola.

Rospo Enfiato si era allontanato precipitosamente nuotando fra le acque, per non ricevere qualche colpo di coda.

Descrisse un largo giro intorno al rettile che non cessava di dibattersi, sollevando delle ondate e si cacciò sotto i paletuvieri dove Diaz, udendo quei fragori che non riusciva a spiegarsi, lo aspettava con angoscia.

— Partiamo subito, — disse l’indiano.

— Le canoe?

— Affondate.

— Ed il Tupy?

— Morto.

— Chi produce queste ondate?

— Un jacarè che mi aveva assalito e che sta per spirare.

— Sei un valoroso. —

L’indiano sorrise e prese le pagaie, ripetendo:

— Partiamo subito.

— Non ci scorgeranno gli altri? — chiese Diaz.

— Si provino ad inseguirci ora che sono senza canotti. —

Lasciarono il loro rifugio e si spinsero fuori dalle piante, senza però troppo allontanarsi dalla riva.

— Ci scosteremo quando avremo raggiunta la punta meridio–