Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
322 | Capitolo Trentaduesimo. |
Il Tupy era balzato prontamente in piedi portando ambo le mani alla gola. La terribile freccia gli si era conficcata, con matematica precisione, nel pomo d’Adamo.
Strappò il cannello mandando un urlo rauco, poi s’abbassò cercando di afferrare la mazza.
Ad un tratto però vacillò, alzò le braccia tentando di aggrapparsi a qualche cosa, poi cadde nelle nere acque della savana sommersa con un tonfo lugubre.
— Buono per gli jacarè, — mormorò Rospo Enfiato.
Si rimise la gravatana fra i denti, raggiunse con poche bracciate la prima canoa, si aggrappò al bordo e con una scossa la rovesciò, lasciandola empirsi d’acqua.
Passò poi alle altre alle quali fece subire l’eguale sorte.
Quando furono scomparse sotto le tenebrose acque, il bravo indiano salì sui rami d’un paletuviero e lanciò uno sguardo sulla riva.
I due drappelli non si scorgevano più.
— Non se ne sono accorti, — disse, gettandosi la gravatana a bandoliera. — Ora possiamo andarcene senza temere che c’inseguano.
Si rituffò senza far rumore e nuotò verso il nascondiglio.
Già non distava che qualche diecina di passi, quando un corpo rugoso lo urtò rigettandolo da una parte.
Quasi nel medesimo istante un acuto odore di muschio si sparse sulla superficie dell’acqua.
— Un jacarè! — esclamò, facendo rapidamente tre o quattro bracciate per allontanarsi. — Che lo abbia svegliato? —
Si rovesciò sul dorso e si guardò intorno, tenendo nella destra quella specie di pugnale di pâo de fero a due punte.
Un leggero risucchio lo avvertì che il caimano lo aveva seguìto nuotando sott’acqua.
Riprese l’appiombo spingendo innanzi la mano. Con un grido avrebbe potuto far accorrere in suo aiuto Diaz, ma non osò farlo per tema di attirare l’attenzione dei selvaggi che si trovavano forse più vicini di quanto supponeva.
Preferì far fronte al pericolo da solo. D’altronde non era la prima volta che si provava a misurarsi con quei mostri acquatici e sapeva come difendersi.
Non erano trascorsi cinque secondi che vide l’jacarè rimontare alla superficie.