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300 | Capitolo Trentesimo. |
di rami e che si potevano, anche senza troppo fatica, far rotolare e spingere verso il carbet.
Dietro a quelle barricate mobili si erano già nascosti numerosi guerrieri armati di archi e di gravatane, pronti a saettare gli assediati.
— È un assedio in piena regola, — disse Alvaro, che si era ritirato precipitosamente verso il buco che serviva da finestra alla capanna, onde evitare quelle pericolose frecce. — Mio caro Garcia saremo costretti a sloggiare se quei tronchi d’alberi verranno spinti attraverso la piazza.
Non credevo che questi selvaggi fossero così astuti.
— Che finiscano per prenderci, signore? — chiese il mozzo con qualche apprensione.
— Potremo opporre una lunga resistenza dentro il carbet. Se sarà necessario apriremo delle feritoie e non faremo risparmio di munizioni. Ne siamo già ben provvisti. Cala i viveri intanto.
— Oh! Il bel tacchino, signore!
— Se non sarà precisamente un tacchino, non avendone io mai veduti in queste foreste, l’uccello è ben grosso e ne avremo per un paio di giorni.
— Sgombrate anche voi?
— No, anzi faremo prima alcune scariche per far capire agli assedianti che abbiamo ora due archibugi invece d’uno. Ciò produrrà un certo effetto su quei cannibali.
I Tupy, che parevano decisi a farla finita coi due europei, avevano cominciato a far rotolare i tronchi, cercando di tenersi ben nascosti per non esporsi ai colpi d’archibugio d’Alvaro.
— Sali, Garcia! — gridò il signor Viana che cominciava a diventare inquieto. — Non lasciamoli avvicinarsi fino alle pareti del carbet.
Il mozzo che aveva già messe in salvo le provviste, saliva precipitosamente.
— Un colpo a destra ed un colpo a sinistra, — disse Alvaro. — Cerca di far scoppiare qualche testa, se lo puoi. —
I selvaggi, quantunque non fossero ancora giunti a buona portata, avevano già cominciato a scagliare delle frecce servendosi di preferenza dei loro archi e qualcuna era già giunta fino al carbet, piantandosi nelle pareti.