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Fra il fuoco e le freccie. 299

— Ma che cosa fanno quei selvaggi? Mi sembra impossibile che non approfittino di questa oscurità per tentare qualche cosa.

Questa calma non mi rassicura.

— Eppure, signore, non vedo alcuna ombra umana aggirarsi per la piazza e non odo alcun rumore.

— Nondimeno non lasciamoci cogliere dal sonno; anzi raddoppiamo la vigilanza.

To’! Non hai udito questo colpo sordo? Si direbbe che è caduto qualche albero.

— Avranno chiusa la porta di qualche carbet o della cinta.

— Hum! Ti dico che i selvaggi non dormono.

— Abbiamo due archibugi, signore.

— E li faremo tuonare, Garcia, — disse Alvaro. — Tu veglia da quella parte, mentre io sorveglio la piazza da questa.

Al primo allarme fa’ fuoco, senza attendere il mio comando.

Non tiri già troppo male. —

Scesero i due versanti opposti del tetto, accostandosi ai margini per meglio dominare la piazza e attesero pazientemente l’alba.

I Tupy dovevano essere occupati in qualche operazione misteriosa.

Di quando in quando agli orecchi degli assediati giungevano dei colpi sordi come se dei tronchi d’albero venissero rotolati per la piazza e si udivano anche dei bisbigli sommessi, come se venissero impartiti degli ordini a bassa voce.

Qualche volta delle ombre umane attraversavano velocemente l’aldèe senza produrre alcun rumore e scomparivano dietro i carbet che sorgevano intorno alla piazza.

Alvaro si sforzava invano di comprendere quale lavoro stavano eseguendo gli assediati. L’oscurità e anche la pioggia che non aveva cessato di cadere, gl’impedivano di discernere ciò che accadeva alle estremità della piazza.

— Che si preparino a stringere il blocco? — si domandava. — Sapremo resistere egualmente e tener duro fino all’arrivo di Diaz. —

Finalmente le tenebre si diradarono e anche i goccioloni cessarono di cadere.

I suoi timori si erano avverati.

I Tupy per non esporsi al fuoco degli assediati, fuoco che temevano così immensamente, durante la notte avevano circondata la piazza con grossi tronchi d’albero, perfettamente rotondi e privi