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Assediati nel carbet dei prigionieri. 297

— Non lo so.

— Qualche selvaggio?

— Peserebbe ben di più. —

Ritirò rapidamente la cordicella e mise le mani su un pagara, uno di quei canestri usati dagl’indiani per porvi le loro provviste.

Lo afferrò pel manico e lo trasse a sè, aiutato da Garcia.

— Che mistero è questo? Ah! Garcia!... Il tuo archibugio! —

Per quanto la cosa potesse sembrare inverosimile, Alvaro non si era ingannato. Quel pagara che era lungo quasi due metri, sotto le foglie che lo coprivano nascondeva l’archibugio che i Tupy avevano preso al ragazzo e avevano affidato al pyaie della tribù.

E non era tutto. Quel misterioso protettore degli assediati non aveva solamente pensato a fornirli d’un terribile istrumento di difesa, bensì anche di viveri, onde potessero prolungare la resistenza.

Ed infatti il pagara, oltre quell’arma preziosissima, conteneva due dozzine di gallette di mandioca, dei tuberi simili a quelli che avevano mangiati a colazione, ed un uccello grosso come un tacchino e già arrostito e perfino una zucca piena di un liquido forte, probabilmente del casciri.

— Signore, — disse il mozzo, — chi può averci mandate tutte queste cose che per noi sono preziose più delle munizioni?

— Chi?

— Ah! Sì, non può essere stato altri che quel bravo ragazzo.

— Sì, Garcia, — rispose Alvaro, — Japy, l’amico fedele del marinaio.

Ora sfido i Tupy a prenderci. Due fucili e viveri per una settimana! Possiamo aspettare, senza angosce e senza paure, l’arrivo dei Tupinambi. —