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Assediati nel carbet dei prigionieri. | 293 |
alcuni minuti, fra un frastuono impossibile a descriversi, poichè i selvaggi per eccitarsi non cessavano di urlare e di percuotere le une contro le altre le mazze; poi alcuni guerrieri, i più valenti della tribù, si staccarono dal grosso dirigendosi verso la porta del carbet.
— Signor Alvaro, — disse il mozzo che cominciava a perdere un po’ della sua sicurezza. — Vanno a sfondare i vasi che barricano la porta.
— La vedremo, — rispose il signor Viana, alzandosi.
Un capo precedeva il drappello, facendo eseguire alla sua mazza dei mulinelli vertiginosi.
— Voglio provare a spaccargliela fra le mani, — mormorò Alvaro. — Se vi riesco si persuaderanno che nulla resiste al fuoco di Caramurà. —
Si inginocchiò appoggiando il gomito sinistro sulla gamba e mirò con profonda attenzione.
Il capo aveva cessato di far roteare la mazza e la teneva ritta e ben alta, come fosse una bandiera.
Uno sparo rintronò e l’arma, spezzata a metà, cadde sulla testa del selvaggio che si piegò sotto l’urto.
È impossibile a descrivere l’effetto prodotto da quel colpo che avrebbe sorpreso anche i più destri bersaglieri d’Europa.
Le grida erano cessate istantaneamente, come se uno spavento indicibile avesse paralizzate tutte quelle gole.
Poi lo stupore si tramutò in terrore. I selvaggi, con un insieme sorprendente avevano voltato i dorsi fuggendo a tutte gambe attraverso le viuzze del villaggio, chi rifugiandosi nei carbet, chi nascondendosi dietro la cinta dove già si erano raccolte le donne ed i fanciulli.
Il capo si era invece lasciato cadere al suolo come se la palla dell’Uomo di fuoco lo avesse colpito insieme alla mazza.
— Che sia morto di paura o che l’abbia veramente ucciso? — disse Alvaro che rideva a crepapelle, vedendo i selvaggi a fuggire come lepri.
— Ma no, signore, vedo che agita le gambe, — rispose Garcia che si era spinto fino all’orlo del tetto.
Ed infatti l’indiano non pareva che fosse morto, perchè continuava a muovere le braccia e le mani.
Ad un tratto fu veduto balzare in piedi e precipitarsi come un fulmine dentro il carbet più vicino senza osare raccogliere i pezzi della sua mazza.