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288 | Capitolo Ventinovesimo. |
Nondimeno non voleva essere il primo ad aprire le ostilità per non inasprire quei formidabili antropofagi.
— Comincio ad annoiarmi, — disse a Garcia che stava coricato presso di lui per non esporsi alle frecce. — Quando finirà questo blocco?
— Mi viene un sospetto signore, — disse il mozzo.
— Quale?
— Che questi selvaggi aspettino il ritorno dei loro compagni per tentare un assalto.
— Non li vedo comparire. Devono aver continuato l’inseguimento colla speranza di riuscire a catturare Rospo Enfiato e Diaz.
— Se li prendono, saremo perduti, signore. Non possiamo ormai contare che sull’arrivo dei tupinambi.
— Il marinaio è un furbo e se è riuscito a sfuggire per tanti giorni all’inseguimento accanito degli Eimuri, non si lascerà cogliere neanche dai Tupy. E poi ha con sè Rospo Enfiato, uno dei più valenti guerrieri della tribù.
— Quanto tempo impiegheranno a tornare? La questione sta tutta qui.
— Gl’indiani sono camminatori infaticabili, — rispose Alvaro.
— Ed i nostri viveri sono scarsi, signore. Non so se ne avremo abbastanza per fare la colazione.
— Ne serberemo una parte pel pranzo.
— E domani?
— Guarderemo il sole. Scendi e va a fare una visita alla dispensa.
— Ah! Se avessi saputo che ci avrebbero assediati, avrei fatto economia.
— Tardi rimpianti, mio povero Garcia. Orsù, scendi, mentre io sorveglio questi bricconi che mirano ai nostri polpacci. —
Il mozzo scomparve. La sua assenza non durò che qualche minuto e quando tornò sul tetto la sua faccia era più oscura del solito.
— E dunque, ragazzo? – chiese Alvaro.
— La nostra dispensa signore è ben misera.
— Cos’hai trovato?
— Tre gallette di mandioca e due tuberi.
– Sono almeno grossi?
— Come la testa d’un fanciullo.
— Ne avremo abbastanza per fare tre pasti... Oh! Japy! Da