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282 Capitolo Ventottesimo.

Vedendo quel lampo e udendo quel rombo, i selvaggi si erano arrestati, poi presi da un improvviso terrore si erano dispersi urlando spaventosamente.

Disgraziatamente i guerrieri che venivano dalla parte della cinta e che avevano udito solamente quel tuono senza aver veduto chi lo aveva prodotto, nella loro corsa disordinata si erano gettati fra Rospo Enfiato, Diaz e Japy tagliando fuori Alvaro il quale si era trovato chiuso fra i fuggenti.

Accortosi del pericolo che correva di venire preso e fors’anche ucciso da qualche colpo di mazza e vista l’impossibilità di raggiungere ormai i suoi compagni, si gettò istintivamente verso la piazza, spinto dalla speranza di attraversare l’aldèe e di poter giungere a qualche altra porta.

Approfittando dello spavento e della confusione che regnava fra i Tupy e anche delle tenebre, potè infatti giungere sulla piazza in mezzo alla quale sorgeva il carbet dei prigionieri, ma colà, con suo terrore s’accorse che il passo gli veniva chiuso dai guerrieri che venivano dalla cinta opposta.

Per un momento ebbe l’idea di afferrare il fucile per la canna e di scagliarsi a corpo perduto fra le file degl’indiani. Comprese però subito che sarebbe stata una follia impegnare la lotta contro quegli uomini che sapevano servirsi così abilmente delle loro terribili mazze.

— Sono preso, — mormorò con angoscia.

Era presso il carbet dei prigionieri e le sentinelle che guardavano la porta, chiusa da una semplice stuoia, erano fuggite.

Un lampo gli attraversò il cervello.

— Garcia è qui, — disse.

Si gettò dentro il fabbricato procedendo a tentoni, tanta era l’oscurità che regnava nella immensa capanna.

— Garcia! Garcia! — gridò.

Un’ombra si era alzata in un canto e brancolava nel buio.

— Chi mi chiama? — chiese una voce.

— Sei tu, Garcia?

— Il signor Alvaro! — esclamò il mozzo.

— Silenzio... tutto è perduto... siamo stati sorpresi...

— Ed il marinaio? — chiese il ragazzo con voce strozzata.

— Non so... fuggito... forse morto o preso vivo... lascia che carichi l’archibugio. Maledizione! Il cuore me lo diceva che tutto sarebbe finito male. —