Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
264 | Capitolo Ventisettesimo. |
Durante i loro pasti gl’indiani non usavano nè parlare, nè bere. Dopo però amavano chiacchierare come pappagalli per delle ore intere e bere in abbondanza, specialmente casciri e altri liquori forti fino a ubriacarsi.
Mancando però dell’uno e degli altri, Rospo Enfiato dovette accontentarsi dell’acqua del fiume e d’una presa di paricà che aspirò attraverso un doppio tubetto formato con due ossa alari d’avvoltoio e che lo mise subito di buon umore, essendo quella polvere inebbriante.
Quella fermata, necessaria per dare un po’ di riposo alle loro membra, si prolungò fino alla mezzanotte, poi tornarono ad imbarcarsi volendo approfittare delle tenebre per guadagnare via, senza correre il pericolo di venire notati e disturbati dagli abitanti delle rive.
Da una parte all’altra del fiume, dei superbi palmizi proiettavano un’ombra così fitta da rendere la canoa quasi invisibile.
Erano palme da cera, le più belle e le più eleganti della numerosa famiglia delle palmares, dal tronco altissimo, esile, bianchissimo e coronato sulla cima da un elegantissimo ciuffo di foglie lunghe cinque o sei metri.
Di quando in quando, in mezzo ai folti cespugli che avvolgevano i tronchi di quelle palme si vedevano vagare delle ombre e luccicare dei punti giallo-verdastri e si udivano dei miagolii soffocati e delle urla rauche che si ripercuotevano lungamente sotto le infinite vôlte di verzura.
Erano giaguari e coguari, lupi rossi e gattoni pardini che vagavano sui margini della foresta cercando la cena.
Rospo Enfiato, appena s’accorse della loro presenza, s’affrettò a spingere la canoa in mezzo al fiume. Conosceva per prova lo slancio e l’audacia dei giaguari e dei puma per non prendere le sue precauzioni.
— Che abbondanza di belve! — disse Alvaro, vedendo due grosse ombre spingersi rapidamente verso una lingua di terra che si prolungava fino a quasi in mezzo al fiume.
— Tutte le rive dei corsi d’acqua sono così popolate di carnivori, — rispose Diaz. — La grande foresta è poco frequentata dai tapiri, dalle scimmie, dai pecari e dai caspybara, le vittime ordinarie dei giaguari e dei coguari, essendo scarsa di stagni e di ruscelli.