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Rospo Enfiato. 261

— Mi sono rifugiato su quest’isolotto dopo la distruzione della mia aldèe1, — rispose l’indiano.

— Sono sempre in fuga le tribù?

— Lo ignoro, ma so che gli Eimuri, dopo d’aver devastati i villaggi dei Tupy sono in ritirata dovunque, perseguitati dai Caheti, dai Tamoi e dai Guaitacazi.

Fra pochi giorni quei predoni saranno ricacciati nei loro deserti. Tutte le loro colonne sono in fuga e non resistono più.

— Eppure ieri hanno dato battaglia ai Tupy.

— Lo so, ma mentre li inseguivano, a loro volta sono stati sorpresi e battuti. Ed il gran pyaie di Zoma che cosa fa qui?

— Ero in viaggio per cercare l’altro mio figlio che è stato preso dai Tupy. —

Gli occhi dell’indiano si accesero d’una luce sinistra.

— Sempre quei lupi immondi, — disse. — Sono peggiori degli Eimuri costoro e non rispettano nemmeno i nostri pyaie dalla pelle bianca.

— Lo hanno divorato?

— Non ancora.

— Perchè ti sei fermato qui?

— Zoma, il padrone dei venti e delle acque, della terra e del sole, che insegnò ai figli rossi delle foreste a coltivare la mandioca, mi aveva suggerito di venir a trovare Rospo Enfiato onde mi aiutasse a salvare mio figlio. —

L’indiano si rizzò quanto era lungo e prese un atteggiamento fiero.

— Dunque Zoma mi reputa un grande guerriero? — chiese.

— Sì e te ne dà una prova mandandomi qui.

— La mia carne, il mio sangue e la mia gravatana appartengono al gran pyaie bianco, — disse l’indiano. — Che cosa devo fare?

— Guidarmi al villaggio dei Tupy ed aiutarmi a liberare mio figlio.

— Cururupebo è pronto a partire: egli è un grande guerriero e non ha paura di quei lupi maledetti.

— Prendi quello che ti può essere utile e partiamo. —

Mentre l’indiano entrava nella tettoia per staccare la sua amaca e prendere i suoi vasi, il marinaio che era lietissimo dell’e-

  1. Villaggio.