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20 | Capitolo Secondo. |
erano rifugiati sulla cima d'una scogliera, tentando di respingere gli assalitori a colpi di pietra. Fra essi vi era ancora il pilota, a cui l'imminenza del pericolo aveva messo le ali alle gambe.
Con una bordata di frecce i brasiliani ne fecero cadere tre, poi si scagliarono sugli altri due colle mazze alzate e li fracassarono con pochi colpi, riducendoli in un ammasso di carni sanguinolenti e di ossa spezzate. Un clamore assordante salutò la caduta dei due ultimi portoghesi.
– Miserabili! – gridò Alvaro, inorridito. – Sono belve feroci costoro e non uomini.
– Signore – disse il mozzo, con voce tremante. – Verranno a trucidare anche noi ora?
– Mi pare che non si siano nemmeno accorti della nostra presenza.
– Non facciamoci vedere, signore.
– Vorrei anzi che venissero – rispose Alvaro. – Ci sono dei fucili, ci difenderemo e anche vendicheremo i tuoi poveri compagni.
– Non chiamateli, signor Alvaro.
– Eppur darei qualche cosa per fucilarli.
– Che cosa faranno ora dei cadaveri dei nostri camerati?
– Li mangeranno: guarda!
I brasiliani, raccolti i corpi dei marinai, erano tornati verso lo scoglio, alla cui base ardeva ancora il fuoco acceso dal pilota.
Mentre alcuni abbattevano delle foglie di cocco, altri raccoglievano nella vicina foresta rami d'alberi secchi che accumulavano con un certo ordine intorno alla fiamma.
Avevano allineati i dodici cadaveri presso le cataste, strappando loro lestamente le poche vesti che indossavano, i capelli e le barbe, servendosi di certi coltelli formati con pezzi di conchiglie che dovevano essere taglienti.
Lavati i corpi con acqua marina, costruirono una specie di graticola di proporzioni gigantesche, adoperando rami verdi, poi vi stesero sopra i dodici sciagurati, alimentando i fuochi.
Quando videro le fiamme alzarsi intorno agli arrosti, quei ributtanti mangiatori di carne umana si afferrarono per le mani eseguendo una danza scapigliata.
Saltavano come capretti, dimenando la testa ed il dorso e urlavano a piena gola, mentre due o tre, accoccolati presso i falò soffiavano disperatamente entro certi pifferi che parevano formati con tibie umane.