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252 | Capitolo Ventiseesimo. |
Presero le loro armi e s’inoltrarono sotto gli alberi, spiccando qua e là qualche frutto, non avendo mangiato dal mattino.
Le urla dei guarà o lupi rossi diventavano sempre più acute. Quei lupi ingordi dovevano essersi gettati avidamente sui cadaveri e dovevano farne scempio.
Un quarto d’ora dopo il marinaio ed Alvaro giungevano sul margine della vasta radura.
Vi erano là, disseminati o distesi a gruppi, non meno di duecento guerrieri fra Tupy ed Eimuri, parte trafitti da frecce ed i più colle teste orrendamente fracassate dalle terribili mazze.
Numerosi guarà giravano fra quei poveri morti, azzannando or questi ed or quelli, urlando e mugolando, e stormi di avvoltoi reali, di caracari, di gaviaos che sono specie di sparvieri e di urubu, quegli insaziabili divoratori di carogne, calavano a prendere parte a quel colossale banchetto.
Diaz senza preoccuparsi dei lupi rossi, si avvicinò ad un gruppo di cadaveri e li osservò per qualche istante.
Vi erano mescolati insieme Tupy ed Eimuri, ancora strettamente abbracciati, come se anche dopo morti cercassero di lottare.
— Sì, — disse poi. — Sono Tupy quelli che sono stati sconfitti dagli Eimuri. Li conosco benissimo dalle loro collane e dalle loro cicatrici. Non vedete questo indiano che ha dei profondi intagli sulle braccia? Sette! Doveva essere un famoso guerriero.
— Perchè? — chiese Alvaro.
— Ogni cicatrice segna un nemico ucciso.
— Sono terribili dunque questi indiani?
— Guerrieri formidabili.
— Povero Garcia, — disse Alvaro con un sospiro. — Potremo noi giungere in tempo per salvarlo?
— Vi ho detto che finchè non l’avranno ingrassato non correrà pericolo alcuno. Torniamo alla canoa, signor Viana. Non sono ancora abbastanza forte per resistere alle marce.
— Dove dormiremo?
— Nella canoa; almeno saremo al sicuro da qualunque sorpresa. —
Tornarono lentamente verso la savana, facendo raccolta di banani e anche di cocchi e s’imbarcarono spingendosi sempre verso il sud.
Verso la mezzanotte arenarono la canoa su un banco che sor-