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La scomparsa del mozzo. 251

— Due giorni! Sono lunghi, Diaz, — disse Alvaro.

— Non perderemo egualmente il nostro tempo, — disse il marinaio, — anzi sloggeremo subito.

Ho osservata attentamente questa savana e mi sono ormai già convinto che dirigendoci verso il sud, noi ci avvicineremo considerevolmente al territorio dei Tupy.

Abbiamo la canoa e ne approfitteremo.

— È anche necessario abbandonare l’isola per non morire di fame, — disse Alvaro, — non avendo io potuto portare nulla dalla foresta.

— Sì, partiamo, — disse il marinaio.

Si alzò senza l’aiuto di Alvaro e si diresse verso la canoa con passo abbastanza sicuro.

— La gamba funziona benissimo, — disse. — Sotto questo clima le guarigioni sono più rapide che in altri paesi. —

S’imbarcarono portando con loro la gravatana ed il fucile e presero le pagaie.

— Conducetemi innanzi a tutto là dove è avvenuto lo scontro, — disse il marinaio. — Voglio accertarmi coi miei occhi se gl’indiani sconfitti dagli Eimuri erano veramente dei Tupy.

— Che vi siano ancora gli Eimuri?

— Saranno occupati ad inseguire i loro avversari e poi non sbarcheremo che dopo il tramonto del sole. —

Si misero a remare senza affrettarsi, avendo più di tre ore di tempo, procurando di tenersi sempre dietro le isolette onde non farsi scorgere dagli abitanti delle rive, dato il caso che ve ne fossero ancora.

Il sole tramontava dietro le alte piante dell’occidente quando giunsero nella piccola cala.

Sulle rive regnava un profondo silenzio. Nell’interno invece della foresta si udivano a echeggiare le urla acute e tristissime dei guarà.

— Buon segno, — disse il marinaio sbarcando.

— Perchè dite ciò? — chiese Alvaro.

— Se i lupi rossi pasteggiano coi cadaveri dei morti, è segno che i combattenti si sono allontanati.

Quegli animali si tengono lontani dall’uomo.

Siete capace di guidarmi fino sul campo di battaglia?

— Mi rammento benissimo la via percorsa, — rispose Alvaro.