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248 | Capitolo Ventiseesimo. |
Al di là degli alberi, delle grida echeggiavano:
— Caramurà! Caramurà! —
Dovevano essere gli Eimuri i quali avevano certamente riconosciuto il loro pyaie.
Alvaro, che correva a rotta di collo, credendosi sempre seguito dal mozzo, in meno di cinque minuti si trovò sulla riva della minuscola cala, presso cui trovavasi la scialuppa.
Si volse gridando:
— Presto Garcia! —
Invece udì in quel momento uno sparo, poi un grido:
— Signor Alvaro! —
Poi vide una torma di selvaggi passare come un uragano fra gli alberi e scomparire in mezzo ai cespugli con fantastica rapidità.
Erano gli sconfitti che fuggivano.
— Aiuto... signore! — udì ancora in lontananza.
Ma i selvaggi che erano stati sopraffatti erano ormai scomparsi e giungevano invece a corsa disperata gli Eimuri preceduti dal loro capo.
Alvaro mandò un urlo.
— Mio povero ragazzo! —
Per un momento, non badando che al proprio coraggio e alla propria generosità, ebbe l’idea di scagliarsi dietro ai fuggenti.
Fortunatamente s’accorse subito che non sarebbe mai riuscito a raggiungere quegli uomini che correvano meglio dei cavalli e che avrebbe dovuto misurarsi contro l’intera orda vincitrice. Per di più l’archibugio era scarico e non aveva il tempo di ricaricarlo.
Balzò nella scialuppa, afferrò le pagaie e frenando le lagrime che gli empivano gli occhi, si spinse rapidamente al largo, salutato da una pioggia di frecce, di cui alcune si infissero, malgrado la distanza, nella poppa della canoa.
Invece di avanzarsi nel mezzo della savana, piegò verso la riva meridionale, tenendosi a sufficiente distanza per mettersi fuori di portata dalle gravatane e dagli archi.
I selvaggi che avevano avuto la peggio erano fuggiti in quella direzione e sperava di ritrovarli al di là d’una lunga penisola che si spingeva nella savana per parecchie centinaia di metri.
Delle grida echeggiavano in quella direzione e si vedevano gli Eimuri a dirigersi velocemente da quella parte. Pareva che