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Un combattimento fra antropofagi. 237

giunsero in una cala minuscola che era cinta da bellissime piante chiamate pequià e anche morfim ossia dell’avorio, essendo il legno che se ne ricava d’una trasparenza e chiarezza meravigliosa.

Prima di sbarcare, i due portoghesi armarono i due archibugi e stettero in ascolto qualche minuto, temendo di vedere sorgere dietro le piante i terribili Caheti.

Udendo solamente le grida monotone d’uno stormo di arà rosse, si decisero a lasciare la canoa.

— Siamo soli, — disse Alvaro. — Andiamo innanzi a tutto a fare una visita a quei cocchi.

Mi pare che siano ben carichi di frutta. —

Si erano appena cacciati sotto le pequià quando grida acutissime echeggiarono in mezzo alle palme che formavano la prima linea della grande foresta.

Eske! Eske!

— Gl’indiani? — disse Garcia preparandosi a tornare verso la scialuppa.

— Mi pare che queste grida siano mandate da una truppa di scimmie.

— Che battaglino fra di loro?

— Andiamo a vedere, Garcia. Tu sai che la carne delle scimmie non è poi cattiva.

Le grida continuavano sempre più stridenti, coprendo gli schiamazzi dei pappagalli e le note squillanti delle ara.

Eske! Eske!

— Sì, sono scimmie, — disse Alvaro che aveva già raggiunto il margine della foresta. — Le vedi lassù, su quella pianta che lancia i suoi rami quasi orizzontalmente.

— Sì, le vedo.

— Sarei curioso di sapere perchè urlano tanto. Non ti sembrano spaventate?

— Sì, signor Alvaro. Non vedete come guardano abbasso e come cercano di spingersi verso i rami più alti? Qualcuno deve minacciarle.

— Il dito sul grilletto del fucile, — ragazzo mio. — L’animale che minaccia quelle scimmie potrebbe prendersela anche con noi.

Avanziamoci adagio ed in silenzio. —

Fra i rami d’una massaranduba, cinque scimmie si agitavano freneticamente balzando ora da una parte ed ora dall’altra, ur-