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Un combattimento fra antropofagi. 235

ma tutti i buoni argomenti del marinaio non riuscivano a sradicare interamente il desiderio che tormentava Alvaro, cioè di fare una corsa nelle foreste.

L’ottavo giorno il portoghese che si annoiava mortalmente e non ne poteva più di quella monotona esistenza, armò la canoa, risoluto a fare una gita fino alla costa più vicina per provvedersi di viveri.

Gli uccelli già da qualche giorno avevano disertato l’isolotto, spaventati dagli spari dei due archibugi e la cena della sera innanzi era stata magrissima non avendo potuto trovare che un paio di tuberi e poche frutta già quasi guaste.

— Tornerò presto, — disse Alvaro al marinaio, — e se vedrò che i Caheti sono scomparsi, domani andremo tutti nella foresta.

Ormai quest’isolotto non può fornirci altro che delle foglie e della fame in quantità.

— Conducete con voi il mozzo, — disse Diaz. — Io non ho più bisogno di cure e anche stamane ho potuto alzarmi e girare intorno all’albero. Due fucili valgono meglio d’uno.

— Mi rincresce lasciarvi solo.

— Non preoccupatevi, signor Viana. Impiegherò il tempo a intrecciare due cappelli di paglia che vi ripareranno meglio dei vostri berretti già sdrusciti.

Ma siate prudenti e non accostatevi alla riva se prima non siete ben convinti che sia deserta.

— Ve lo prometto. D’altronde torneremo prima che il sole tramonti e con qualche capo di selvaggina, almeno così spero. —

Presero i due archibugi lasciando al marinaio la gravatana di cui sapeva servirsi abilmente, come abbiamo già veduto, e balzarono nella canoa.

— Prudenza! — gridò un’ultima volta Diaz, il quale si era coricato sotto l’ombra di una bananeira che lanciava le sue immense foglie in tutte le direzioni.

Alvaro rispose con un gesto della mano e la canoa si allontanò velocemente, scivolando sulle acque nerastre della savana sommersa.

— Non allentiamo, Garcia, — disse Alvaro. — In un’ora noi saremo nella foresta.