Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
232 | Capitolo Ventiquattresimo. |
di Solis, che si mostrava contentissimo di quella raccolta. — Non speravo di trovare su questo isolotto delle piante così preziose.
Ah! Se si potesse trovare anche del tabacco! È parecchio tempo che non ne fumo.
— Che cos’è? — chiese Alvaro.
— Già, mi dimenticavo che in Europa non lo si conosce ancora. Quando torneremo fra i Tupinambi ve lo farò provare e ci prenderete gusto ad aspirare il fumo aromatico di quelle foglie.
Signor Viana, le pentole sono già raffreddate e altro non chiedono che di essere riempite d’acqua.
— Coi tatù insieme, — rispose il mozzo.
— Gettali dentro dunque, — disse Alvaro. — Un sorso di brodo farà bene a Diaz.
— Ed il matè mi rinforzerà meglio, — disse Diaz. — Ah! Occorre una cuia. Ne avete veduto nella vostra escursione.
— Delle zucche, vorrete dire? — chiese Alvaro.
— Sì e anche un cannuccio di bambù.
— Posso trovare la cuia e anche i bambù.
— Oh!
— Che cosa volete ancora?
— Là, guardate quelle foglie.
— Vedo.
— Strappatele e scavate.
— Che cosa si troverà sotto?
— Dei tuberi eccellenti che non sono velenosi come la mandioca?
— E sarebbero.
— Ma... gl’indiani li chiamano manihot. So che sono buonissimi specialmente cucinati nel brodo.
— Quest’isola è un paradiso terrestre!
— Meglio per noi, signor Viana.
— Felice paese dove basta abbassarsi per avere tutto il necessario per vivere. Ed io che lo aveva chiamato ingrato! —
Garcia che aveva ascoltate quelle parole, in quattro salti si era slanciato verso quelle foglie che crescevano quasi a fior di terra e si era messo a scavare il suolo servendosi del coltello.
Non tardò molto a mettere allo scoperto parecchi tuberi grossi come le nostre patate, che portò subito presso il fuoco.