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Ancora il marinaio di Solis. 215

Mentre il mozzo tornava con una foglia di palma arrotolata in forma di cornetto e piena d’acqua, Alvaro si recò sotto una di quelle piante e recise parecchi rami.

Vide subito cadere una linfa biancastra e vischiosa che s’affrettò a raccogliere entro la foglia d’una cuiera.

Quando ne ebbe qualche bicchiere la portò al ferito il quale trangugiò d’un fiato quel liquido, non senza fare una brutta smorfia.

— Non deve essere eccellente, — disse Alvaro.

— Ma mi salverà la vita, — rispose il marinaio il quale a poco a poco riacquistava un po’ di forza. — Le febbri qui sono sovente mortali.

— Vi addolora la ferita?

— Assai, signor Viana. Se potessimo trovare una almesegueira si cicatrizzerebbe più presto.

Gl’indiani non vanno mai alla guerra o alla caccia senza averne qualche po’ nella loro borsa.

— È un’altra pianta?

— Sì e che produce un succo resinoso che arde con molto profumo e che serve ottimamente di balsamo alle ferite.

Oh! Ne troveremo, non essendo quelle piante rare, anzi tutt’altro.

— Non credevo che questi antropofagi si occupassero di medicina.

— Signor Alvaro, — disse il marinaio, che si era alzato a sedere. — Mi avete trasportato lontano dalla radura dove il capo degli Eimuri era stato preso dal liboia?

— Che cosa ne sapete voi, Diaz? — chiese Alvaro stupito.

— Ho assistito a quella scena, dall’alto d’un albero ed ho anche ammirato assai il vostro coraggio, — rispose Diaz sorridendo. — Senza di voi il capo poteva considerarsi un uomo morto.

— Ma voi dunque...

— Non vi avevo abbandonato, anzi cercavo l’occasione propizia per strapparvi agli Eimuri.

Non trovandovi più, al ritorno dalla mia esplorazione, sulle rive della savana sommersa, m’immaginai subito che gli Eimuri vi avessero sorpresi e rapiti.

Mi riuscì facile scoprire le tracce dei selvaggi e le seguii fino nei pressi del villaggio, nondimeno l’occasione per farvi fuggire non si presentava.