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16 Capitolo Secondo

Degli squarci si erano aperti specialmente sul tribordo e le acque, volta a volta vi penetravano con un cupo rimbombo riempiendo la stiva e rimuovendo il carico, per uscire poi, in forma di cascate, dalle aperture di prora.

– È destinata a sparire – disse Alvaro. – Sarà questione di qualche giorno se non di ore.

Peccato! Coi suoi rottami si sarebbe potuto ricostruire una grossa scialuppa e guadagnare le Antille. Che cosa faremo noi su queste spiagge così lontane da quelle abitate dagli uomini della nostra razza? Vorrei sapere come finirà tutto ciò.

Scrollò le spalle e fece buon viso al mozzo che risaliva in quel momento portando un canestro contenente dei biscotti e del lardo.

– È tutto quello che ho potuto trovare, signor Alvaro – disse il ragazzo.

– I tuoi camerati sarebbero felici di poter avere altrettanto, – rispose Viana, – quantunque le piante da frutto non manchino sulle coste brasiliane. –

Stavano per sedersi su un barile, quando verso la spiaggia udirono il pilota a urlare.

– Signor Correa! Signor Correa!

La voce del vecchio marinaio era improntata al più vivo terrore.

Alvaro era balzato in piedi, slanciandosi verso la murata di babordo, da cui poteva distinguere la spiaggia senza risalire fino alla coffa.

In quel medesimo istante, urla terribili s’alzarono fra le piante che ingombravano la costa. Erano ululati che parevano uscire da gole di belve, poi urla acutissime che terminavano in veri ruggiti.

Alvaro, pallido, angosciato, aveva volti gli sguardi verso lo scoglio alla cui base poco prima aveva scorto i naufraghi attorno al fuoco.

Non vi erano più. Fuggivano disordinatamente lungo la spiaggia, gridando a squarciagola:

– Aiuto!

– I selvaggi!

– Signor Alvaro!

– Stanno per piombarci addosso! –

Delle frecce si vedevano volare per l’aria e piantarsi nei dorsi o nei fianchi dei fuggiaschi.

– Signore! – gridò il mozzo che era diventato pallido come un cencio di bucato. – Uccidono i nostri compagni!