Pagina:Salgari - L'Uomo di fuoco.djvu/205


La fuga.. 199

CAPITOLO XXI.

La fuga.


Un’ora prima del tramonto i due pyaie lasciavano il villaggio scortati dal capo, dal ragazzo indiano e da un drappello di dieci guerrieri scelti fra i più valenti e si avviarono verso la foresta per sorprendere il terribile serpente.

Alvaro che aveva già architettato il suo piano, si era recisamente opposto al desiderio del capo, di condurre un gran numero di sudditi per circondare tutta quella parte di foresta che si riteneva abitata dal rettile, assicurandolo che sarebbe bastato anche da solo.

L’Eimuro però che forse non era ancora completamente sicuro della fedeltà dei suoi pyaie, aveva scelto quel drappello, che asseriva essere assolutamente necessario per aprire una via attraverso la foresta, essendo quella foltissima.

Alvaro avrebbe ben fatto a meno anche di quei pochi, ma per non destare le diffidenze del capo, aveva finito per accettarli.

D’altronde quegli undici uomini non lo inquietavano molto. Col fucile non aveva più alcuna paura ed era certo di avere subito il sopravvento e di metterli in piena rotta con poche scariche.

La foresta che si estendeva a settentrione del villaggio, era davvero una delle più folte che Alvaro avesse fino allora vedute.

Era un caos di palme d’ogni specie, di jatolà enormi, di summameira colossali; di bombonasse, di massarandube ecc. che crescevano le une addosso alle altre e avvolte fra un numero infinito di liane serpeggianti in tutte le direzioni.

Un uomo bianco, senza l’aiuto di qualche indiano, difficilmente avrebbe potuto andare molto lontano.

I guerrieri del capo si erano però subito messi al lavoro per aprire un passaggio ai due pyaie che non erano abituati a camminare come i gatti e tanto meno a strisciare come i rettili.

Adoperando con vigore e con destrezza le loro pesanti mazze di paò de fero, sfrondavano rami e cespugli e spaccavano le liane, facendole cadere a festoni interminabili, che poi dovevano spingere da una parte o dall’altra.