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La savana sommersa. | 173 |
del selvaggio credendo di sentirsela da un momento all’altro piombare sul cranio.
L’Eimuro, che doveva aver formulata qualche domanda, vedendo che il portoghese rimaneva silenzioso, si volse verso Garcia che si era rifugiato in un angolo e pronunciò altre parole che non potevano essere comprese meglio delle prime.
Vedendo che anche il ragazzo non apriva la bocca, fece un gesto d’impazienza, poi affacciatosi alla porta mandò un grido che pareva piuttosto un urlo di belva.
Un momento dopo un ragazzo indiano, che non doveva avere maggior età del mozzo, entrava fermandosi dinanzi al capo.
Era un bel giovanotto, dall’aspetto svegliato, cogli occhi nerissimi ed intelligenti e che sembrava appartenesse ad un altra razza.
Ed infatti aveva la pelle assai più chiara di quella del capo, i lineamenti più fini, i capelli più morbidi ed i tratti del viso più regolari.
Il capo gli rivolse alcune parole aggrottando parecchie volte la fronte e facendo qualche gesto di minaccia, poi gli indicò Alvaro.
Con grande stupore, il portoghese udì il ragazzo a dire:
— Señor...
Alvaro e Garcia si erano guardati l’un l’altro, domandandosi per la seconda volta se sognavano o se erano veramente desti.
Un selvaggio brasiliano che parlava lo spagnolo, mentre gli spagnoli non avevano mai messo piede su quell’immenso territorio, era una cosa strabiliante, assolutamente incredibile.
— Signore, — riprese il ragazzo. — Il capo degli Eimuri vi ha parlato e si mostra adirato perchè voi non avete risposto alle sue domande.
— Chi ti ha insegnato a parlare la lingua degli uomini bianchi? — chiese Alvaro che non si era ancora rimesso dalla sorpresa.
— Il pyaie della mia tribù.
— Diaz!
— Sì, si chiamava così il mio padrone, — rispose il ragazzo. — Mi ricordo d’averlo udito più volte a dire: Ah! Povero Diaz!
— Dunque tu sei un tupinambo.
— Sì, signore.
— Ti hanno fatto prigioniero gli Eimuri?
— E m’ingrasseranno per mangiarmi, — disse il ragazzo senza manifestare alcuna apprensione.