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La savana sommersa. | 163 |
zurre ed il ventre aranciato; qualche cardinale colla testa rossa e qualche grosso pappagallo che cicalava a piena gola, noioso come tutti i suoi simili.
Il marinaio che sapeva dirigersi anche senza bussola e che aveva le gambe solide, camminava velocemente senza mai deviare, nè esitare, mettendo a dura prova le forze dei due naufraghi.
— Avanti sempre, senza fermate, se volete sfuggire agli Eimuri, — diceva sempre. — È così che io sono riuscito a tenerli sempre a distanza.
— Noi non possediamo dei garretti d’acciaio, — brontolava Alvaro. — Non siamo vissuti quindici anni fra i selvaggi.
— È necessario, — ribatteva il marinaio. — Chi rimane indietro è uomo morto.
E sempre spronati da quella paura, continuavano ad avanzarsi nell’immensa foresta, passando da un macchione all’altro, sovente strisciando come rettili, quando non riuscivano a trovare un passaggio fra quell’immenso caos di alberi, di cespugli e di liane.
Alla sera, esausti ed affamati, si arrestavano sulla riva d’un torrentello.
— Basta, — disse il marinaio. — Abbiamo marciato come selvaggi brasiliani, riposiamoci qui. Anche gli Eimuri dormono; possiamo quindi fare anche noi altrettanto.
Cenarono con alcuni banani, poi si lasciarono cadere al suolo, sotto un albero immenso che stendeva i suoi rami in tutte le direzioni.
— Dormite pure, — disse il marinaio che era il meno stanco. — Io monto il primo quarto di guardia. —
CAPITOLO XVII.
La savana sommersa.
Fu una notte di continue angosce per tutti. L’idea che quei ferocissimi selvaggi fossero già vicini e che potessero, da un momento all’altro, sorprenderli per divorarli, impedì a tutti tre di dormire.
I loro timori però non si avverarono e la notte passò tran-