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160 Capitolo Sedicesimo.

Io non conosco il paese che ora percorriamo o meglio la foresta, ma può darsi che da un momento all’altro ci troviamo dinanzi a dell’acqua.

Signor Viana, ripartiamo.

— Mille bombe! Ancora?

— Ho corso per undici giorni e con pochissimi riposi, sempre inseguito. Se le mie gambe avessero ceduto o sarei a quest’ora un pyaie degli Eimuri o già digerito dopo d’essere stato più o meno arrosolato su una graticola.

— Diaz! Mi fate venire i brividi! — esclamò Alvaro.

— Che vi daranno la forza di fuggire, — rispose il marinaio, sorridendo.

— Lasciateci almeno il tempo di assaggiare il nostro arrosto. Mi libererò almeno d’un peso inutile.

— E la mia testuggine? — chiese il mozzo.

— Serbiamola per domani, — rispose Diaz. — Non avremo più il tempo di cacciare.

— Su, sbrighiamoci! La frittura di formiche non è già un piatto forte per degli uomini che sono costretti a far lavorare le gambe. —

Affamati come erano, essendo stati costretti ad interrompere il pranzo in sul principio, non impiegarono molto a far scomparire l’arrosto e le tre o quattro gallette che avevano avuto il tempo di raccogliere.

Ringagliarditi da quel pasto assai sostanzioso e abbondante se non variato, i tre europei ripresero le mosse, spronati dal pensiero che gli Eimuri avessero già trovato il modo di varcare il fiume e che seguissero già le loro orme.

La foresta era sempre foltissima e costituita da poche varietà di piante per la maggior parte senza frutta.

Erano macchioni enormi di isonandra, di alberi da cui si ricava oggidì la guttaperca; di bombonax colle cui foglie si fabbricano degli splendidi cappelli di paglia che poco hanno da invidiare a quelli famosi di Panama; di laranjus i cui fiori profumavano l’aria e di persee piante bellissime queste, alte come i nostri peri e che producono delle frutta grosse come limoni, che intorno al nocciuolo hanno una polpa verdastra, di sapore nauseante, che sembra burro e che si mangia, da taluni, volentieri specialmente se condita con sale, zucchero e vino di Xeres.

Pochi uccelli abitavano quella boscaglia, quasi tenebrosa per la foltezza delle foglie e umidissima: dei tanagra, colle penne az-