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Una sorpresa di selvaggi. | 153 |
cone da re, signor Viana, quantunque abbia un gusto un po’ acidulo dovuto al suo genere di cibo.
— Che sarebbe quel cibo? Non saprei indovinarlo, visto che quell’animale non ha bocca.
— Non gli è necessaria. A lui basta la lingua.
— Che viva leccando le piante? — chiese Garcia.
— Mangia e non meno di noi. Lo vedrete all’opera.
— Come, non lo uccidete? — chiese Alvaro.
— No perchè ci procurerà una frittura superba.
— Eh! Dite.
— Di formiche.
— Puah!
— Adagio, signor Viana. Vedremo se farete le smorfie quando vi presenterò un bel piatto di termiti fritte nel grasso del tamanduà. Oh! Vi leccherete le dita.
Silenzio ora e seguiamolo. —
CAPITOLO XVI.
Una sorpresa dei selvaggi.
Il tamanduà continuava a salire la riva senza affrettarsi e siccome in quel luogo il margine della foresta scendeva rapidissimo, l’animale si aiutava poderosamente colle zampe posteriori che sono assai più robuste delle anteriori e per di più armate di artigli lunghissimi e duri come l’acciaio.
Seguirlo era cosa facilissima, poichè i tamanduà sono piuttosto lenti nelle loro mosse e non conoscono affatto la corsa nè il passo rapido.
Il marinaio di Solis dopo aver osservata e rilevata la direzione che prendeva l’animale, condusse i suoi compagni attraverso un macchione e ne raggiunse il margine nel momento in cui il tamanduà stava per inoltrarsi nella grande foresta.
— Ditemi, Diaz, — disse Alvaro fermandolo. — Sono pericolosi quegli animali? Quello che ci sta dinanzi se non ha bocca possiede certe unghie da sventrare facilmente anche un uomo.
— Assaliti si difendono coraggiosamente e non è raro il caso