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144 | Capitolo Quindicesimo. |
— Gettiamoci a nuoto, — disse Alvaro. — L’acqua non mi sembra profonda e la corrente è poco rapida.
— Alto là, signore, — rispose il marinaio. — I fiumi del Brasile non sono quelli del vostro paese e nemmeno quelli del mio. Sono forse più pericolosi delle foreste.
— Non scorgo nessun jacarè.
— Se vi fossero solamente dei caimani, non mi preoccuperei tanto, mio signore. Non sono sempre affamati e poi non sempre assaltano l’uomo.
— Allora temete i caribi.
— No, non ve ne devono essere qui. Quei mostriciattoli preferiscono le acque profonde e limpide.
— Che cosa dunque può spaventarvi tanto?
— Il sucuriù.
— Eh! Dite?
— Il boa dei fiumi, un rettile di dimensioni enormi che talvolta raggiunge i dodici metri.
— Ah! Ne abbiamo veduto anche noi di quei boa e ne abbiamo ucciso anzi qualcuno.
— Ora ci accerteremo, prima di mettere le gambe in acqua, se ve ne sono qui, — disse il marinaio.
— In qual modo? — chiese Alvaro.
— Guardate e soprattutto tendete gli orecchi. È un metodo infallibile insegnatomi dai Tupinambi. —
Il marinaio di Solis con un bastone attirò verso la riva una foglia di vittoria che andava lentamente alla deriva e si mise a batterla mentre mandava dei ruggiti rauchi che somigliavano un po’ a quelli che emettono i giaguari allorquando si preparano a piombare sulla selvaggina.
Dopo alcuni istanti in fondo al fiume si udì un rumore sordo che a poco a poco aumentava d’intensità.
— È il sucuriù che risponde, — disse Diaz, risalendo rapidamente la riva. — Se ci gettavamo a nuoto facevamo un bell’affare!
— È sott’acqua il boa? — chiese Alvaro.
— È nascosto in mezzo alle erbe, — rispose il marinaio.
— Rispondono sempre?
— Tutti i serpenti, quando si riesce a imitare bene il loro sibilo.
— È incredibile!
— Quando gl’indiani vogliono impadronirsi dei rettili che infestano le foreste, li chiamano con dei sibili più o meno dolci, ne ho fatto più volte la prova con successo.