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142 | Capitolo Quattordicesimo. |
che io non abbia che pochissime frecce, ma conosco il segreto di fabbricare il vulrali ed a suo tempo provvederò anche voi di gravatane. Non è cosa difficile distillare quel veleno, quando si conoscono le piante che lo forniscono.
— Chi ve lo ha insegnato?
— Un vecchio capo dei Tupinambi. È un segreto che si trasmette solamente ai pyaie e che tutti gli altri ignorano. Ecco il perchè quegli indiani non potrebbero fare senza di me.
— Ditemi, Diaz, che gli Eimuri abbiano saputo che voi siete il possessore di tale segreto?
— Può darsi, — rispose il marinaio. — Ah! Ecco che ritornano! Li odo attraversare la foresta. Non desidererei che ci scoprissero.
— Bah!... Non sospettano nemmeno che noi siamo così vicini.
— E le scimmie? — chiese Garcia che conosceva abbastanza lo spagnolo per comprendere qualche frase.
— Pendono fra le foglie e nessuno le scoprirà, — rispose il marinaio.
Gli Eimuri tornavano verso la radura e parevano furiosi per non aver ritrovato le tracce del pyaie dalla pelle bianca.
I drappelli giungevano uno dietro all’altro, radunandosi attorno al fuoco che non si era ancora spento.
Mugolavano come belve e manifestavano la loro rabbia impugnando le loro mazze e agitandole minacciosamente come se si preparassero ad un combattimento.
— Sono furibondi, — disse il marinaio. — Cercate pure, le mie orme non le troverete di certo.
— Che non si decidano ad andarsene? — chiese Alvaro.
— Quassù non stiamo mica male, signore. Le foglie sono foltissime e non ci scorgeranno.
— Preferirei però che se ne andassero prima che spunti il sole, — disse Alvaro.
— Non rimarranno qui eternamente. —
Gli Eimuri tennero un nuovo consiglio e poi si alzarono e ritornarono nella foresta tutti in gruppo.
Il marinaio attese che ogni rumore fosse cessato, poi disse ad Alvaro:
— Credo che sia giunto il momento di andarcene. Non torneranno più qui.