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134 | Capitolo Tredicesimo. |
giacchè tutti erano nemici dei Tupinambi e terribili divoratori di carne umana.
Erano insomma, come diceva il marinaio di Solis, uomini che dovevano assolutamente evitare, per non correre il pericolo di finire, in un modo o nell’altro sulla graticola o allo spiedo.
Il rumore avvertito da Diaz continuava. Una banda e molto considerevole, a quanto pareva, attraversava la foresta, e sia che seguisse qualche traccia od a caso, si dirigeva appunto verso quella radura di cui il colossale summaneira formava il centro.
— Che siano i vostri nemici che vi davano la caccia? — chiese Alvaro che aveva preparate le sue armi.
— Lo sapremo presto, — rispose Diaz che ascoltava attentamente.
— Che possano essere i vostri?
— I Tupinambi? No, è impossibile! Ancora ieri gli Eimuri mi davano la caccia, dunque finchè non si ritireranno nelle loro selve, nessun indiano della mia tribù avrà osato tornare. E poi so che sono fuggiti verso l’ovest e non già verso il mare.
— Così terribili sono questi Eimuri?
— Somigliano più alle belve che agli uomini e nulla risparmiano sul loro passaggio.
— Da dove vengono?
— Dalle regioni meridionali. Spinti chissà da quali bisogni, di quando in quando emigrano verso i paesi più ricchi, tutto distruggendo e nessuno ha mai saputo vincerli. Il loro solo nome sparge un tale terrore, che anche le tribù più valorose piuttosto che affrontarle preferiscono fuggire, lasciando i villaggi e le piantagioni indifese.
— Eppure sono uomini.
— Chi lo sa? — rispose il marinaio di Solis. — So che camminano come le belve, colle mani e coi piedi.
Sono scimmie od uomini? Io non lo so, signor Viana.
— Allora li giudicheremo meglio, se sono veramente gli Eimuri quelli che stanno avanzandosi. Non devono essere lontani.
— Anzi ecco i loro esploratori, — mormorò Diaz. — Li vedete? —
Quantunque l’ombra proiettata dalle piante aumentasse considerevolmente l’oscurità, il signor Viana ed il mozzo, scorsero due