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Il marinaio di Solis 131

— Ah! Diavolo! Dormivo così bene!

— In questi paesi bisogna essere sempre pronti a fuggire. La tranquillità qui non è mai esistita.

— Dobbiamo andarcene?

— No, — rispose il castigliano.

Alvaro lo guardò con stupore.

— Allora perchè mi avete svegliato?

— Per cercare un asilo più sicuro.

— Senza fuggire?

— Non vi è bisogno. Io ho sovente ingannati gl’indiani che mi davano la caccia per mettermi allo spiedo o alla graticola, facendo appena pochi passi.

Guardate, vi è qui quest’albero che ci servirà a meraviglia e che imbroglierà maledettamente gl’indiani i quali si romperanno invano la testa per cercare le nostre tracce.

Svegliate il mozzo e non perdiamo il tempo. —

Garcia, udendoli a parlare, erasi già alzato. Informato rapidamente del pericolo che li minacciava, il bravo ragazzo si limitò a dire:

— Bah! Abbiamo gli archibugi e sapremo bene accogliere quei mangiatori di carne umana.

— E gli avanzi del fuoco? — chiese ad un tratto Alvaro, mentre si disponevano a dare la scalata all’enorme summaneira.

— Lasciate le ceneri e anche i tizzoni, — rispose Diaz. — Anzi serviranno ad imbrogliare maggiormente i selvaggi. —

Vi erano delle liane, delle sipò che pendevano dalla pianta e che potevano servire a meraviglia per salire sull’albero, il cui tronco, troppo enorme, non si poteva abbracciare.

I due portoghesi ed il castigliano ne approfittarono per raggiungere i rami della pianta, poi le tagliarono per impedire ai selvaggi di servirsene, ma si guardarono bene dal lasciarle cadere al suolo onde non tradire la loro presenza.

— Vedrete che non verranno a cercarci quassù, — disse il marinaio di Solis. — Pare impossibile, eppure i selvaggi, allorquando sono inseguiti, non hanno mai pensato a cercare un rifugio sugli alberi. —

Salirono più in alto, dove i rami erano più grossi e la vegetazione più folta e attesero, con una inquietudine facile a supporsi, l’arrivo di quella truppa che marciava attraverso la foresta.

Fossero Eimuri, Tupy od altri selvaggi, il pericolo era eguale,