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126 | Capitolo Dodicesimo. |
scosa, mi servivano di guida. Mi gettai sotto gli alberi e procedendo guardingo e silenzioso, mi avanzai nella boscaglia, col cuore trepidante, credendo ad ogni passo di sentirmi trapassare le carni da qualche lancia o di sentirmi fracassare il cranio da quelle terribili mazze di legno del ferro che già avevo veduto nelle mani dei selvaggi.
I Charruà invece, convinti di averci tutti distrutti, non avevano lasciato il luogo ove era caduto Solis, sicchè dopo una mezz’ora d’angosce inenarrabili e di incessanti terrori, potei giungere a soli centocinquanta passi dall’accampamento dei selvaggi.
Uno spettacolo atroce, che non dimenticherò mai, anche se dovessi vivere mille anni, s’offerse ai miei occhi.
Su un braciere immenso, disposti su una specie di graticola formata da grossi rami verdi, arrostivano nove dei miei disgraziati compagni, imbrattati di sangue dal capo alle piante.
Quasi tutti avevano il cranio sfracellato, senza dubbio dalle pesantissime mazze degl’indiani.
— Canaglie! — esclamò Alvaro facendo un gesto di disgusto.
— In mezzo a quei miseri, le cui carni crepitavano al contatto delle fiamme, spandendo all’intorno un odore nauseante, distinsi Solis.
Aveva la gola aperta e la testa schiacciata.
Intorno, più di duecento Charruà, nudi come vermi, ma adorni di collane formate da denti di caribbi, quei piccoli pesci voraci di carne umana che infestano i fiumi di questi paesi, parevano aspettassero qualche cosa. Erano tutti armati di lance e di mazze e di archi grandissimi.
Ad un tratto un urlo straziante giunse ai miei orecchi.
— Grazia! Grazia! —
Quattro indiani di statura gigantesca trascinavano un marinaio, il quale si dibatteva disperatamente tirando calci nelle gambe dei suoi guardiani.
L’avevano preso vivo, ma la sorte di quel disgraziato non doveva essere migliore degli altri che erano caduti colle armi in pugno.
Vidi i Charruà trascinarlo verso una enorme pietra, sulla cui superficie era stato tracciato una specie di canaletto e gettarvelo sopra dopo averlo legato in modo da impedirgli di fare il menomo movimento.
Io, inorridito, non osavo fiatare. D’altronde che cosa avrei potuto fare contro quei duecento e più indiani?