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Nella foresta vergine | 117 |
brasiliani che danno quel legno ricercato chiamato jacarandò, palme regie che hanno il tronco altissimo e così perfetto che sembra opera di tornitori; ficus che somministrano la preziosa guttaperca incidendo i loro tronchi; bombonasse delle cui foglie oggidì si fabbricano i pregiati cappelli chiamati di Panama e palme quaresine dai fiori purpurei che s’intrecciavano con quelli profumati delle laranazias.
Una umidità penetrante regnava sotto quei vegetali sprigionando un intenso odore di muffa che faceva arricciare il naso ai due naufraghi.
— È una foresta vergine questa, — disse Alvaro che avrebbe desiderato meglio trovarsi in una prateria. — Come faremo noi a dirigerci sotto queste piante che non lasciano filtrare nemmeno un raggio di sole? Comincio a credere che non ci sarà facile ritrovare la baia.
— Che ci siamo smarriti? — chiese il mozzo.
— Lo temo.
— Che queste maledette foreste coprano tutto il Brasile?
— Sembra che gl’indiani non si prendano alcuna cura di atterrarle. Per essi l’agricoltura è lettera morta.
— Sfido io! Si mangiano fra di loro! E poi le frutta non sono rare nelle loro foreste.
— E anche la selvaggina non manca. Odi questo fracasso? —
Uno scoppio d’urla acutissime era rimbombato improvvisamente sotto le piante facendo tacere di colpo una banda di pappagalli che cicalava fra i rami d’un cedro. Erano così assordanti che il mozzo fu costretto a turarsi gli orecchi.
— Chi sono gli autori di questo spaventevole concerto? — chiese. — Delle belve forse.
— Saranno delle scimmie, — rispose Alvaro. — Che gole hanno? Foderate di ottone o di rame? Si direbbe che hanno dei tromboni e dei bombardoni in corpo.
— Ma che! Un’orchestra intera, — disse il mozzo ridendo.
Le urla erano diventate così acute che tutta la foresta rintronava. Pareva che si pelassero vivi mille maiali.
— Andiamo a far tacere questi importuni, — disse Alvaro. — Se potremo, faremo qualche colpo per procurarci un arrosto.
Il calore ha guastato già la nostra riserva e la carne della testuggine puzza orrendamente.
— Avreste il coraggio di mangiare una scimmia?