Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
102 | Capitolo Nono. |
gio, dirigendosi verso la palude. Appena fu ad un due o trecento passi, abbandonò ogni precauzione e partì a corsa disperata.
In pochi minuti giunse là dove aveva lasciata la tartaruga. Anche il rettile dormiva colla testa affondata entro il guscio.
— Lasciamola qui per ora; la imbarcherò più tardi onde impedire alle belve, che qui non devono mancare, di divorarmela.
Temendo di essere ancora troppo vicino ai pecari, continuò la corsa per un quarto d’ora, arrestandosi sulle rive di una caletta circondata d’alberi.
— Sbrighiamoci, — disse il bravo ragazzo. — Il legname qui non manca e la luna comincia ad alzarsi.
Appoggiò il fucile al tronco d’un albero e cercò innanzi a tutto delle liane che gli erano necessarie per la costruzione della zattera.
Non aveva che da scegliere, essendo tutti gli alberi circondati da sipos. Ne fece una buona provvista, poi avendo scorto a breve distanza dalla riva un gruppo di quegli altissimi bambù chiamati dai brasiliani taquara, che sono grossi quanto la coscia d’un uomo e leggerissimi, ottimi soprattutto per servire alla costruzione dei galleggianti, li assalì vigorosamente abbattendone una dozzina.
Il materiale era più che sufficiente per una zattera capace di reggere due persone.
Li trasportò senza fatica sulla spiaggia e li mise in acqua, legandoli con liane. Lavorava così destramente e così rapidamente che mezz’ora dopo il galleggiante era pronto a prendere il largo.
Con due lunghi rami improvvisò due remi e puntando con tutte le sue forze si diresse innanzi a tutto là dove si trovava la testuggine. Con quattro poderose randellate la svegliò e un po’ spingendola ed un po’ trascinandola, la costrinse ad imbarcarsi.
— Ci teneva troppo il signor Alvaro a questa bestia o meglio alla sua carne, per abbandonarla alle belve od agl’indiani. Avremo il pranzo assicurato per tre o quattro giorni. —
Poi si spinse risolutamente al largo, ansioso di giungere all’isolotto.
La luna che era allora sorta e che brillava in un cielo purissimo, riflettendo i suoi raggi sulle acque della palude, gli permetteva di dirigersi facilmente.
Gl’isolotti spiccavano nettamente sulla superficie argentea formando delle enormi macchie brune che si potevano distinguere senza bisogno di cannocchiali.