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di pombè, una specie di birra ottenuta col sorgo fermentato e che ubbriaca facilmente essendo assai alcoolica.

L’arabo intanto per propiziarsi quel pericoloso sultanetto aveva aperta la cassetta levando due dozzine di fazzoletti rossi, un cappello da capitano marino a due punte e gallonato, un vecchio revolver con alcune scatole di cartucce e parecchie collane di perle colorate per le belle spose del monarca.

Il negro, curioso come tutti quelli della sua razza, fece buon viso a tutti quei regali, mandando esclamazioni di meraviglia e di gioia; ma rapace come tutti i tirannelli africani, finì col chiedere del tabacco, poi del sapone profumato, quindi uno dei tre coltelli che i viaggiatori portavano alla cintura, le loro cravatte ed un fazzoletto di seta rossa che aveva al collo il greco.

Fu subito accontentato, perchè i due europei avevano avuta la precauzione di empirsi le tasche di altri oggetti che intendevano di regalare ai ministri ed ai capi dell’esercito.

Il monarca per contraccambiare quei doni fece portare due polli tisici e un montone rognoso, aggiungendovi due pani di burro ed un vaso di birra, scusandosi di non poter dare di più poichè il suo regno era travagliato da una carestia disastrosa, ciò che non si poteva credere, dato l’aspetto florido della popolazione.

Dopo aver chiesto minute informazioni sul terribile uccello, il negro ad un certo momento chiese:

— E perchè vuoi andare nel Kassongo?

— Per liberare un inglese, caduto nelle mani dei negri — rispose El-Kabir. — L’ho raccontato a Ben-Zuf.

— Sì, me lo ha detto — disse il sultano guardando fisso l’arabo, mentre un brutto sorriso gli appariva sulle labbra. — Devo dirti che io non credo per niente alla storiella dell’inglese.

— E perchè dubiti di quello che io ho narrato? — chiese El-Kabir inquieto.

— Perchè io so invece che tu ti rechi dal Niungu dei Ruga-Ruga per mettere, insieme a lui, a ferro ed a fuoco queste regioni e fare schiavi gli abitanti. E so ancora che tu non sei venuto da