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86 | emilio salgari |
vano fatto ritorno verso il treno aereo, mettendosi a guardia della scala.
— Cosa ne dici di questa manovra sospetta? — chiese il tedesco. — Io non ho molta fiducia di questa gente quantunque il capo sia amico di El-Kabir.
— Avrei preferito che anche quei cavalieri ci avessero seguiti — rispose il greco.
— Che questi negri vogliano privarci del nostro treno?
— Non c’è da fidarsi di questa gente.
— Mi pento di aver seguito i consigli di El-Kabir.
— Vi è però una cosa che mi rassicura.
— Quale?
— Che questi negri hanno paura del nostro Germania, ostinandosi a crederlo un uccello vorace.
— Potrebbero prenderlo a fucilate e rovinarci i palloni — disse il tedesco, le cui inquietudini aumentavano.
— Secondo l’accoglienza che ci farà il sultano, sapremo se dovremo temere o rassicurarci.
Mentre si scambiavano questi timori, El-Kabir discuteva animatamente col capo della scorta, sforzandosi a spiegargli in che cosa consisteva quel mostro e lo scopo del viaggio, guardandosi però dal parlargli del tesoro.
— Lo facciamo per semplice spirito di umanità — diceva. — I miei amici si sono fitti in capo di andare a liberare il povero viaggiatore e lo faranno.
— Io lo avrei lasciato fra i negri di Kassongo — rispondeva il capo. — L’inglese doveva restarsene a casa sua.
— Eppure non siamo soli ad andare in cerca di lui.
— Come! Vi sono degli altri mostri in viaggio?
— No, Ben-Zuf. Si tratta di una carovana guidata da un arabo che tu conosci e che deve aver lasciata la costa il mese scorso.
— Comandata da chi?
— Dall’arabo Altarik.
— È passata da qui tre settimane or sono.