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il treno volante | 85 |
della pistola che teneva alla cintura, abbassò la testa e tornò umile.
— M’intendi? — gridò El-Kabir.
— Sì, padrone.
— Rimarrai qui.
— Rimarrò.
— E se non mi obbedisci, ti ammazzo!
— Lascialo andare — disse Matteo.
— No, rimarrà qui. Il padrone sono io!
— Scendete! — gridò il capo dei cavalieri, il quale cominciava a perdere la pazienza.
— Siamo da te, Ben-Zuf — rispose El-Kabir.
Si armarono dei mauser, si misero nella fascia delle rivoltelle, presero una cassetta contenente doni destinati al sultano e scesero la scala di corda.
Il capo della scorta diede a tutti il selam, ossia il benvenuto, poi strinse la mano all’arabo, dicendogli:
— Hai fatto bene a farti riconoscere, poichè avevo avuto l’ordine di dare battaglia al mostro volante e di distruggerlo.
«Io non so che razza di uccello sia quello che vi porta; ti posso però dire che ha spaventato immensamente il nostro popolo, il quale temeva di venire decimato dalla bestia gigante.
— Ti ho detto che non è un uccello. È semplicemente un pallone.
— Non so che cosa sia un pallone. Per me è un mostro che fa paura e non mi farai cambiare d’opinione.
— Ti lascio nella tua idea, Ben-Zuf.
— Sanno cavalcare i tuoi amici?
— Sì — rispose Matteo che comprendeva l’arabo.
Il capo ordinò a tre dei suoi uomini di cedere le loro cavalcature all’arabo ed ai due europei, quindi la truppa si rimise in marcia verso il villaggio.
Prima di allontanarsi, Ottone e Matteo si erano accorti, non senza inquietudine, che dieci cavalieri eransi staccati e che ave-