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78 | emilio salgari |
col fucile in mano, mentre sulla scala si vedeva Sokol occupato a ravvivare il fuoco.
— È successo nulla? — chiese l’arabo al negro.
— No, padrone — rispose questi. — Abbiamo solamente veduto fuggire un rinoceronte portante in groppa un leone. Era tanto spaventato che mi passò a tiro di fucile senza vedermi.
— Non è comparso nessun negro?
— No, padrone.
— Scuoia questa antilope e mettila ad arrostire.
I due europei e l’arabo si sdraiarono in mezzo alle erbe profumate, mentre Heggia scendeva la scala di corda per aiutare il suo compagno.
La notte era bellissima.
La luna splendeva in un cielo sgombro di nubi, scintillando fra miriadi di stelle. La purezza dell’atmosfera era tale, da permettere al tedesco, che era anche un po’ astronomo, di distinguere, senza bisogno di cannocchiale, le stelle di settima grandezza.
Una brezza freschissima, impregnata dell’acuto profumo dei sicomori in fiore e delle amarille, spirava ad intervalli, temperando il calore torrido che tramandava ancora il suolo.
Un silenzio profondo regnava sulla pianura; di quando in quando veniva interrotto bruscamente dall’ululato di qualche sciacallo e dallo scoppio di risa di qualche iena accorsa al sentore dell’arrosto.
I due europei e l’arabo, con le braccia sotto il capo, chiacchieravano tranquillamente, guardando il Germania che oscillava sopra di loro sotto i soffi della brezza notturna.
— Che calma regna qui — diceva il greco. — Non si direbbe che noi ci troviamo in Africa.
— Diffida della calma africana — rispondeva l’arabo. — Il continente nero è il più pericoloso dei luoghi, mio caro Matteo. Mentre noi stiamo qui chiacchierando, qualche grave pericolo può nascondersi fra le ombre della notte. Le fiere sanguinarie non mancano qui e gli abitanti non sono meno feroci delle fiere. Que-